RASSEGNA STAMPA
Intervista al ministro degli
Esteri di CorrierEconomia (Corriere della Sera)
Bonino: «Non
siamo un outlet, ma un buon investimento»
ROMA -Tra la “sirena stanca”, lo “squalo famelico” e il “delfino
intelligente”, Emma Bonino per l’Italia sceglie decisamente la terza immagine.
La prima l’ha usata Sir Martin Sorrell, presidente dell’International Business
Advisory Council (Ibac) per descrivere il modo in cui oggi viene percepito nel
mondo il nostro Paese. La seconda è quella che alcuni ci consigliano per
invertire la rotta e tornare ad attirare investimenti dall’estero. Ma è il
delfino, spiega il Ministro degli esteri, l’animale cui ispirarsi: «Robusto,
agile, intelligente e molto elegante, esprime bene la nostra identità».
Venerdì scorso, Bonino ha ospitato alla Farnesina una riunione
dell’Ibac, l’organismo composto dai top manager di grandi multinazionali e
fondi sovrani, che ha la funzione di suggerire «best practises» per attirare
investimenti, migliorare la qualità della vita, sviluppare tecnologie e
infrastrutture, in modo da rendere più competitiva un’area a livello
internazionale. era però la prima volta che un incontro del Council fosse
dedicato non a una città, com’è successo in passato per Londra o Roma, ma a un
sistema Paese, in collaborazione con il governo nazionale.
«E’ stata una discussione molto franca – dice Emma Bonino
nell’intervista al CorrierEconomia -. Per esempio gli investitori già presenti
in Italia hanno sottolineato gli aspetti positivi della loro permanenza. gli
altri hanno apprezzato il nostro progetto Destinazione Italia, perché ne
condividono l’individuazione delle criticità e le soluzioni indicate per
cominciare a superera quelle più importanti. Com’è noto, anche grazie alle
indicazioni ricevute dalla consultazione online abbiamo deciso di privilegiarne
10 su 50 cercando di affrontarle in tempi rapidi. Sette di queste sono già
state oggetto di normative del decreto legge di dicembre. Il dibattito ha confermato
che c’è consenso su quali siano i problemi».
Ce li elenca in ordine di importanza?
«In generale, secondo Sorrell, l’ostacolo principale è la rigidità del
mercato del lavoro. ma in tanti hanno messo l’accento sull’incertezza totale di
tempi e procedure, prima ancora della burocrazia: quanto dura una pratica,
quanto ci vuole per avere un permesso o un’autorizzazione. a tal proposito, la
cosa più apprezzata è stata la riforma della conferenza dei servizi prevista
dal decreto. l’altra questione emersa è che, oltra ad un maggior coraggio da
parte degli investitori ce ne vorrebbe di più anche da parte dei nostri, che
non sempre sono disposti al rischio e preferiscono aree, per così dire,
protette».
Si è parlato di resistenza di alcuni poteri all’ingresso di investitori
stranieri in Italia. ne abbiamo avuto esempi con Finmeccanica e il progetto di
vendere alcuni asset importanti come Ansaldo Energia, o con l’annuncio del
governo di vendere quote residue di Eni o Enel. dove si annidano le resistenze
più forti?
«Non c’è dubbio che sia parte della cultura di questo Paese l’idea che
occorra una forte industria di Stato. Se chiedi in giro quali siano i
cosiddetti settori sensibili, in pratica tutti i comparti sembrano esserlo. La
scorsa estate, quando Loro Piana decise di vendere e nella stessa settimana
venne annunciata la vendita di Cova, la storica pasticceria di Milano, la
reazione ci fu: ci rubano i gioielli. e’ quella che io chiamo la sindrome di
Fort Apache, al cui opposta sta un’altra sindrome tipicamente italiana: quella
dell’outlet, prego venite, compratevi tutto. l’Italia ha sempre oscillato tra
questi due estremi. Non sarà facile cambiare mentalità, specialmente in tempi
di crisi. Ma occorre far avanzare una nuova cultura, che vede anche nella
vendita la possibilità di valorizzare i nostri asset. E le resistenze non
vengono solo da sinistra. non è che la destra sia stata così liberale in
Italia. Guardi alle municipalizzate».
Sorrell ha parlato di una buona strategia, sottesa a Destinazione
Italia, ma di problemi ancora da risolvere quanto a struttura e comunicazione.
come ci muoviamo?
«Prevediamo per esempio di avere un dipartimento di Invitalia dedicato
solo all’attrazione di investimenti».
E quale sarà il ruolo delle nostre Ambasciate?
«Noi cerchiamo di far passare il concetto che una cosa è l’export e
un’altra è attrarre investimenti in Italia. Comportano due professionalità
diverse. riorganizzare e riorientare la rete diplomatica non significa
trasformare gli ambasciatori in piazzisti, ma affiancarli con figura
professionali, che siano specificamente preparate a convincere gli investitori
stranieri della bontà del rischio Italia. Potrebbero per esempio non essere
diplomatici di carriera, dislocati in alcuni mercati strategici, facilmente
individuabili. E non parlo solo dei Brics, ma anche di Paesi come l’Angola e il
Senegal in Africa, o la Birmania in Asia».
L’instabilità politica è stata citata come una delle preoccupazioni
dei potenziali investitori in Italia. che tipo di rassicurazioni avete dato lei
e il premier Letta?
«Nessuno può garantire nulla. la situazione italiana è quella che è.
Ma noi avevamo due strade: o non facevamo nulla perché non abbiamo 5 anni
assicurati davanti, ovvero usavamo bene il tempo che abbiamo. quanto dureremo
non lo sa nessuno. Ma abbiamo iniziato un processo, nella speranza che chi
verrà dopo possa continuarlo». (Paolo Valentino-CorrierEconomia, 13 gennaio
2014)
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